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Cardinal: The Rise and Fall of George Pell
louise milligan
melbourne, 277 pages, $11.21

La scorsa settimana il Cardinale George Pell è stato accusato con molteplici capi d’accusa per molestie sessuali su minori. Il Cardinale Pell attualmente risiede a Roma, impegnato a riordinare la situazione finanziaria del Vaticano. Nelle prossime settimane ci troveremo nella sua nativa Australia, dove ha promesso di far fronte alle accuse mossegli contro. L’arcivescovo Antony Fisher, suo successore alla cattedra arcivescovile di Sidney, consiglia di lasciare che la giustizia faccia il suo corso.

Le autorità civili australiane devono ancora dichiarare il numero e la natura dei reati dei quali Pell è stato imputato, ma sono anni che le accuse contro il cardinale vengono raccolte ed accumulate. Pell è pubblicamente accusato di essere stato complice dell’insabbiamento di abusi sessuali avvenuti presso la diocesi di Ballarat negli anni 70 e nei primi anni 80 e presso l’arcidiocesi di Melbourne tra gli ultimi anni 80 e gli anni 90; i capi d’accusa fanno, inoltre, riferimento a molestie e violenze su minori, nonché ad atti osceni in luogo pubblico tra il 1961 ed il 1997.

Negli ultimi decenni, i casi di molestia sessuale contro minori sono sorti in particolare dall’isterismo pubblico che li ha generati, in questo modo ostacolando le condizioni per il corretto funzionamento della giustizia. Il risultato di tale situazione sono state le grottesche persecuzioni e le ingiuste condanne che si sono dimostrate decisamente troppo numerose, se considerate come il costo da pagare per tali operazioni. In Australia l’isterismo pubblico legato al caso Pell ha già raggiunto livelli estremi. Di questo clima fa parte il fiorito libro di Louise Milligan – scritto “dal punto di vista dei querelanti” – la pubblicazione del quale è stata anticipata a maggio (da luglio che avrebbe dovuto essere) probabilmente per influenzare i provvedimenti delle autorità civili. Appena Pell è stato accusato, la casa editrice ha rimosso il libro dalle librerie locali per evitare di influenzare le deliberazioni dei membri della giuria. Ma il contenuto del libro, a questo punto, era già stato ampiamente divulgato dai media australiani. La fiducia dell’arcivescovo Fisher nel sistema giudiziario, quindi, potrebbe forse dimostrarsi erronea.

Le accuse ufficiali contro Pell possono differire da quelle evidenziate dal libro di Milligan; d’altronde è nella natura dell’isterismo legato alle molestie sessuali che le incriminazioni, vere o meno, debbano moltiplicarsi. In questo senso, non mi sorprenderebbe se le imputazioni ufficiali non includessero nuove accuse. Ma proviamo ad esaminare il caso che abbiamo davanti nello stesso modo con cui quelle accuse ufficiali devono essere esaminate, ovvero nei termini della loro persuasività, credibilità e dei presupposti loro sottostanti. Milligan non tenta di nascondere la sua ostilità nei confronti della Chiesa Cattolica; trema, infatti, al ricordo della sua adolescenza cattolica. Quando può, Milligan cita le sue fonti negando qualsiasi rivendicazione contro la Chiesa. Sembra, però, contenta di citare allo stesso tempo, per esempio, fonti come quella che ricorda che sua madre “si tolse la scarpa e mi picchiò in faccia per sei o sette volte dicendo che ero osceno”, in conformità, dice la fonte, con il “sistema cattolico.” Ovunque possa, Milligan associa il Cattolicesimo alla persecuzione dei bambini.

Nell’immagine che Milligan si è fatta di Pell, questa associazione assume una dimensione ed una forma mostruose: Pell mostra di avere una “sociopatica mancanza d’empatia,” non ultimo nella usa adesione ai tradizionali insegnamenti morali cattolici. Tale ritratto si trasforma presto in una caricatura da cortile. Accettando un diffuso epiteto che gli viene attribuito, Milligan definisce Pell come un “bullo” per più di una dozzina di volte. In quanto vescovo, Pell avrebbe usato stampa, radio e media televisivi per “fare il bullo” con il suo gregge dando voce (ad esempio) al suo sostegno nei confronti della Veritatis Splendor. Quando fronteggiato da persone convinte che l’insegnamento morale della Chiesa Cattolica sarebbe inclemente, Pell diventa un bullo perché, nonostante le loro affermazioni, egli insiste sulla verità di tale insegnamento. Una fonte ricorda il dibattito televisivo tra Pell e Colette Mann, attrice divorziata e risposata: “C’era un assoluto dolore nella voce di lei e c’era dolore e sofferenza in tutto il suo atteggiamento e lei parlava con il cuore in mano. Se George avesse solo teso la mano e toccato il suo avambraccio e detto qualcosa tipo ‘Mi dispiace’… Ma no. Non c’è nemmeno un goccio di compassione in lui.” Pell è condannato costantemente da parte dei suoi critici per non essere sufficientemente terapeutico, per aver fallito come modello d’emotività e per non essere stato in grado di generare alcuna catarsi. Il trasporto di un ecclesiastico con un così elevato potenziale psicodinamico quasi sconfina nel feticismo.

Un tropo di lunga data legato alle molestie sessuali vuole che si provi, da un lato, empatia nei confronti delle presunte vittime e dei loro sostenitori e, dall’altro, mancanza di empatia nei confronti dei presunti pedofili e dei loro difensori. Di conseguenza Milligan presenta se stessa come l’opposto empatico di Pell, confessando di essere lei stessa una persona “con il cuore in mano.” Quando riporta le interviste con gli accusatori, Milligan descrive nel dettaglio i tratti delle loro emozioni, non tralasciando di raccontare le sue personali sensazioni in risposta. Occasionalmente l’impulso empatico la costringe a scadere in idiozie descrittive: “Ho il cuore in gola […] È la sensazione che ti prende quando da bambino provi a sollevare un sasso in giardino e un mucchio di insetti si precipitano fuori costringendoti a gettare di nuovo il sasso per terra.” Dietro la prosa bambinesca si nasconde un tentativo coercitivo, come nella più grande delle tradizioni degli anni 80. Con tutta la sua paura da asilo nido e terrore satanico, lo slogan di quel decennio era “Noi crediamo ai bambini.” Tutti erano obbligati a mostrare compassione per le vittime, e la compassione richiedeva un credo.

Millagan ha ereditato questa formula. Per aver compassione della vittima di un abuso sessuale, bisogna prima di tutto credere all’affermazione della vittima, ovvero che la vittima è effettivamente la vittima dell’abuso sessuale. Siccome non siamo sociopatici, arriviamo facilmente al dogma secondo il quale “i bambini non mentono,” cosa assurda nell’apparenza e rovinosa nelle sue applicazioni. Negli anni 80 tale dogma ha portato alla condanna di insegnanti di asilo e scuola elementare, accusati di aver violentato bambini a loro affidati in inesistenti catacombe sotterranee; di aver sodomizzato i propri alunni con coltelli da macellaio – i quali misteriosamente sono riusciti a non infliggere alcun danno –; di averli rapiti con mongolfiere, o aver somministrato caramelle infuse con filtri magici e narcotici, e quant’altro una mente infantile può partorire. Da quel momento in poi abbiamo messo da parte le decorazioni di Halloween, ma i rimasugli di questa tradizioni permangono. Quello che conserviamo è l’imperativo che impone una risposta empatica e la sua funzione coercitivo-epistemologica: senti quello che sentono i bambini, non pensare a quello che dicono.

La prima sostanziale accusa di Milligan nei confronti di Pell è che lui sia stato complice dell’insabbiamento delle molestie sessuali avvenute presso la diocesi di Ballart, nello Stato di Victoria, durante gli anni 70 ed i primi anni 80. A quel tempo, però, Pell era un giovane prete con nessuna autorità in materia disciplinare, né alcuna accusa ufficiale a suo carico che legittimi un’indagine di violazioni legate alla pedofilia. I critici del cardinale si sforzano di dimostrare una sua responsabilità per crimini nei quali non ha avuto alcun ruolo. Tale è stato l’obbiettivo dei pubblici ministeri che hanno interrogato Pell a Roma lo scorso anno per la “Commissione Reale australiana sulle risposte istituzionali alle accuse di abusi sessuali sui bambini,” – un evento rilevante della televisione australiana, notevole per quanto netto ed esitante Pell si sia mostrato. Milligan ne racconta la concatenazione di eventi in otto farneticanti capitoli.

Pell rispose alle domande dei pubblici ministeri con una franchezza che sfiorò la noncuranza. Ammise che nel 1974, quando un ragazzo gli parlò vagamente dell’atteggiamento pedofilo di un certo Fratello Dowlan dei Fratelli Cristiani, non intervenne o indagò oltre. Intimato di spiegare la propria neghittosità dalla pubblica accusa, Pell rispose nettamente dicendo: il ragazzo “non mi stava chiedendo di fare niente in proposito.”

Dal punto di vista di una prospettiva cristiana questa risposta è insoddisfacente. Sfortunatamente per i pubblici ministeri, l’insegnamento morale cattolico non è legalmente vincolante in Australia, nello Stato di Victoria. Le leggi dello Stato di Victoria obbligano membri adulti appartenenti a certi gruppi professionali a denunciare qualunque informazione o ragionevole sospetto abbiano circa l’abuso sessuale di minori; queste leggi, però, non erano in vigore nel 1974. A quel tempo il contatto sessuale tra adulti e minori non era considerato nocivo. Per quanto possa sembrare insostenibile, la stigmatizzazione medicolegale di suddetto contatto veniva considerata più dannosa del contatto stesso. Così Philip Jenkins riassume il consenso degli psicologi e delle autorità civili occidentali dal 1950 circa al 1975: “Un episodio di contatto sessuale causa poco danno al bambino, purché la polizia e le corti non ne ‘facciano un problema’.” La denuncia obbligatoria non esisteva nell’emisfero meridionale né in quello settentrionale, e neppure esistevano i trattamenti terapeutici che ora concediamo ai trasgressori nel campo della pedofilia e dell’efebofilia. L’indolenza di Pell, sebbene San Pietro l’abbia considerata peccato d’omissione, non era considerata reato all’epoca.

Né verrebbe considerata reato oggi, siccome le leggi dello Stato di Victoria che riguardano la denuncia obbligatoria vengono applicate a dottori, infermieri, ostetriche, insegnanti, presidi e poliziotti, ma non ai preti. Riguardo il peccato d’omissione, Milligan non riporta nessuno di questi fatti legali o storiografici.

Lungo tutto l’interrogatorio a Pell, il quale durò oltre diciannove ore e mezza durante quattro notti consecutive a Roma, il pubblico ministero rievocò numerose assurdità. Una confessione divenne subito tristemente nota, quella riguardante la depravazione di un altro prete: “È una triste storia e non di grande interesse per me.” Pell, numerose volte di seguito, si dichiara colpevole di mancanza di tatto. Raccontando l’interrogatorio, Milligan emerge come una cheerleader spastica che si emoziona ogni volta che il pubblico ministero “[prova a] fendere il colpo di grazia” – anche se, ad ogni tentativo, il pubblico ministero non riesce ad amministrare la sua grazia. In un modo o nell’altro la sua goffa preda continua a sfuggire all’attribuzione di una responsabilità penale. Forse è perché è una questione di fatti.

Il pubblici ministeri ed i giornalisti non fanno che individuare problemi. Sembra che Pell abbia saputo poco di quello che stava accadendo, perfino degli eventi più discreti, figuriamoci di una serie di atti e delle agevolazioni che premettevano a questi atti di avvenire. Il ritornello dei persecutori legali e mediatici, dunque, diventa: “Sapeva o avrebbe dovuto sapere.” In questo senso, se Pell non ha commesso un reato per scarsa conoscenza, allora deve aver commesso una violazione pseudo-criminale per non aver tentato di acquisire una più piena conoscenza degli eventi. Questo stratagemma esonera la pubblica accusa dal dover provare qualcosa sull’intervento o il mancato intervento di Pell, così come sulla sua conoscenza o ignoranza. Pell, quindi, è effettivamente processato per non essere riuscito ad interessarsi sufficientemente, che è come dire per mancanza di empatia. La mancanza di empatia, però, non è un crimine secondo nessuna delle leggi ufficiali in Australia, ma può servire come offesa punibile con l’impiccagione nel caso si riesca a sollevare il clamore della folla.

Passando all’incarico successivo di Pell, quello di vescovo ausiliare a Melbourne tra il 1987 e il 1996, Milligan punta ad un’accusa più ambiziosa: qui Pell avrebbe agito come “un faccendiere dell’arcidiocesi,” il quale “dissuadeva le persone dal dire la verità” circa le molestie sessuali. L’arcivescovo Frank Little, all’epoca superiore di Pell, è rinomatamente ritenuto responsabile per aver insabbiato abusi sessuali avvenuti presso la sua arcidiocesi. Milligan riporta che Little era assolutamente riservato, persino con i suoi subordinati, e riconosce che i rapporti di Pell con Little, un liberale dottrinale, erano “decisamente scostanti.” Milligan, però, evita di illustrare la posizione di Pell come designato successore antitetico rispetto a Little, così come non nomina le grandi aspettative che Papa Giovanni Paolo II riponeva nell’anticipata pensione di Little così da poterlo rimpiazzare con Pell, cosa che poi ha effettivamente fatto. Per ragioni teologiche e politiche sembra che Pell si sia trovato fuori dal circolo di Little tanto quanto qualsiasi altro ecclesiastico dell’arcidiocesi. E nonostante questo, Milligan vorrebbe farci credere che Pell abbia speso nove anni “sistemando” cose per conto di Little. (È comunque interessante notare come Milligan tratti Little con guanti di velluto, come un ecclesiastico “progressivo” che “sosteneva pienamente l’apertura a e l’accoglienza del laicato.” In più, a malapena discute la protezione da lui fornita ai pedofili ed aggiunge che le sue fonti “sono disorientate” quando si tratta di spiegare tale fatto. Io sospetto che se Little fosse stato un conservatore, una spiegazione pronta non sarebbe di certo mancata.)

Ci sono cose sospette tra queste pagine e la vignetta con la quale raggiungono il culmine è la storia di Eileen Piper. Nel 1993 la figlia di Eileen, Stephanie, sporse denuncia per stupro contro un prete dell’arcidiocesi di Melbourne. Un giorno, Eeileen si trovava a casa di suo fratello malato, un monsignore dell’arcidiocesi. Milligan scrive che, mentre lei si trovava lì, George Pell si presentò con “animo dominante.” Congedò Eileen dalla camera e chiuse la porta così che lei non potesse sentire la conversazione a seguire. Milligan, imperterrita, trascrive la preziosa citazione: “Non osare avere niente a che fare con il caso di tua sorella, è un ordine.” Mettete tra parantesi i miei dubbi su questa storia, che non si esauriscono con preoccupazioni legate all’acustica e alla memoria di Eileen (la quale aveva novant’un anni quando Milligan l’ha intervistata). Sappiamo che il monsignore continuò per la sua strada come aveva pensato di fare: stette dalla parte di sua sorella al processo offrendole supporto morale, cosa per la quale non ricevette alcuna critica. Supponiamo che Pell abbia detto quello ed agito come Eileen pretende che sia successo. Io non vedo cosa Milligan immagini Pell abbia potuto “sistemare” in questo modo.

Pell viene accusato di non aver minacciato o corrotto nessuno. Non viene accusato di aver intimato il silenzio ad alcuna vittima o genitore. Il più che ha fatto, sempre che l’abbia fatto, è stato di dire ad altri preti di non prendere parte ad alcuno scandalo. La fenomenale inchiesta di Milligan è riuscita almeno a stabilire che Pell era un – com’e quella parola?

Se questi resoconti di persone dissuase dal dire la verità da parte di un faccendiere arcidiocesano sono vere, ebbene suggeriscono come Pell fosse un uomo abituato a persuadere e comandare a bacchetta i preti a lui sottoposti, un uomo… altezzoso nei confronti di quelli sotto di lui che si sentiva a proprio agio ad esercitare il suo potere bruto.

“Bullo,” eccola qui. Giusto così, si noti come questa frase ripeta lo stesso concetto due volte (ho omesso una parentesi). Più importante: qui Milligan sostiene che se è vero che Pell svolgeva le funzioni del faccendiere, allora chiaramente era anche un bullo. Questo è uno strano dietrofront. Se è vero infatti che Pell era un faccendiere, allora sicuramente questo lo rende un criminale – colpevole dell’intimidazione di testimoni, ostruzione alla giustizia, probabile manomissione di evidenze, e chissà cos’altro. Per quale motivo Milligan semplicemente non dice questo piuttosto che tornare alla sua accusa di routine, ovvero che Pell manca di empatia e finezza sociale?

Cento giorni dopo essere diventato arcivescovo di Melbourne, Pell ha istituito una commissione indipendente dedicata all’investigazione di accuse riguardanti gli abusi sessuali sporti contro membri del clero o dipendenti laici presso l’arcidiocesi. A seconda di quanto ritenevano appropriato, i commissari erano anche autorizzati a provvedere counseling e compensi finanziari ai querelanti. Questo sistema, conosciuto come “Melbourne Response,” rese una certa forma di giustizia disponibile a vittime che non erano necessariamente inclini a far valere la loro responsabilità legale – anche se non precludeva la possibilità che tali vittime potessero perseguire la via della causa civile nel caso volessero. L’anno era il 1996, sei anni prima della crisi sugli scandali degli abusi sessuali in America.

Il “Melbourne Response” sembra fosse stato progettato per scombussolare tutto quello che Pell apparentemente avrebbe dovuto sistemare servendo come vescovo ausiliare. Ma è impossibile rendersi conto di questo se uno si affida a Milligan. Infatti, nella fretta di citare critiche che vedono la commissione come un organo “dall’alto verso il basso, paternalistico,” “condiscendente, incompleto ed insufficiente,” nonché prono a “ri-traumatizzare” le vittime, Milligan trascura di riassumere il procedimento a cui il “Melbourne Response” si attiene. Milligan registra querele legate ad ottiche e dinamiche di potere, includendo alcuni querelanti scandalizzati dall’arredamento mascolino dell’ufficio degli avvocati arcivescovili. Un prete più anziano, una delle molte fonti anonime di Milligan, pronuncia l’ultima sentenza su Pell a Melbourne (si tratta di cinque lettere):

Quando ho spinto il prete anziano a dirmi cosa Pell fosse all’epoca, se non uno dei pionieri nella lotta contro l’abuso dei bambini, lui schiettamente ha risposto: “Ad essere onesto, non penso niente di lui. Era un uomo ambizioso ed un bullo e tutto quello che non penso un vescovo dovrebbe essere.”

Se non è esattamente vero che Pell fosse un faccendiere arcidiocesano, almeno Milligan è riuscita a dimostrare che fosse un bullo. Se Milligan non è esattamente riuscita a screditare il “Melbourne Response,” almeno adesso può mostrare come Pell, rendendola la commissione effettiva, si sia dimostrato un bullo. Se nessuna delle imputazioni di reato sta guadagnando veramente terreno, almeno però avanzano zoppicando – ed arrivano a qualcosa, anche fosse solo che Pell è un bullo.

Più avanti vedremo come la descrizione da bullo che Milligan fa di Pell arrivi a sostituire coerenti imputazioni di responsabilità di reato.

Milligan sostiene che nel 1961, quando era aiutante seminarista presso un campo di chierichetti sull’Isola di Philip, Pell abbia ripetutamente ficcato le mani nei pantaloni e molestato il dodicenne Phil Scott. Si dice che sia riuscito a compiere queste aggressioni numerose volte in una tenda, durante le sessioni di wrestling coi cuscini, in presenza di altri ragazzi – i quali, in ognuna di queste istanze, si mostravano “apparentemente inconsapevoli,” occupati com’erano a “fare i buffoni.” Si dice anche che Pell abbia aggredito Scott durante una “passeggiata serale,” in presenza di altri ragazzi, e che abbia infilato le mani nel costume di Scott mentre questi nuotava o camminava tra le onde. Quarantacinque anni dopo questi episodi, Scott decise di riferire queste aggressioni alle autorità ecclesiastiche. Un’investigazione criminale che si è occupata della querela ha portato un giudice a rigettare le accuse nel 2002.

Milligan riconosce la presenza di un problema in queste accuse (problema dal quale il bullismo di Pell la salverà). Solitamente un criminale coltiva il rapporto con la sua vittima, guadagnandosene la sua fiducia, incentivando la cooperazione ed il silenzio prima di aggredirla (ci si riferisce a questa consuetudine con il termine di “adescamento”); e la prima aggressione può raramente dirsi ottenuta con la forza. La modalità improvvisa, sia sociale che fisica, delle pretese aggressioni a Scott non è normale.

Milligan chiede un commento ad un anonimo funzionario ecclesiastico; l’anonimo ammette che “l’afferrare diretto” è un comportamento anomalo per uno che commette un reato sessuale. “Ma se ci fosse qualcuno che potesse commettere un reato in quel modo, posso immaginare che questo qualcuno possa essere George,” siccome George “non è una persona che va tanto per il sottile.” Milligan si affretta ad aggiungere, “Sia chiaro che questa persona non sta dicendo che Pell sia il criminale, ma piuttosto che, se fosse provato che Pell è un criminale, non sarebbe scioccante scoprire che questo è il modo con cui Pell decise di aggredire”: proprio come un bullo. (Per essere chiari, cari lettori, quello che sto dicendo non è che è provato che tu sia stato violento con tua moglie, ma piuttosto, se fosse provato che tu sei stato violento,…)

Ancora peggio, Scott ammette la presenza, spesso prossima, di testimoni oculari i quali avrebbero mancato di svolgere il loro ruolo di testimoni oculari. Apparentemente i giochi sfrenati sarebbero serviti per camuffare le aggressioni che avrebbero dovuto avvenire alla luce del sole. Mi sono già imbattuta in questo tipo di trucchetti, e ne parlerò a breve.

In questi casi non si trovano prove fornite da testimoni oculari, da evidenze fisiche o circostanziali, né alcuna forza di persuasione del racconto o tempestività della denuncia. Scott sporse denuncia quattro decenni dopo le presunte aggressioni, tempo più che necessario per l’estinzione di ricordi e prove, sempre che ce ne siano stati, e per Pell per diventare un parafulmine mediatico. Rimaniamo quindi con la parola di Scott contro quella di Pell. Il giudice assegnato all’indagine alla fine si è dimostrato “non soddisfatto dell’emissione della denuncia,” viste “alcune valide critiche circa la credibilità del querelante.”

Scott è stato un allibratore, un guidatore in stato di ubriachezza, un tossicodipendente, uno spacciatore di droga ed un criminale violento – un chierichetto dalla vita criminosa, come l’Herald Sun, impietosamente ma non impropriamente, l’ha soprannominato. Su di lui pendono trentanove condanne, ricevute nelle venti apparizioni in tribunale, che, senza essere limitate a queste, includono evasione fiscale, abuso di sostanze stupefacenti ed aggressione fisica. Milligan sembra non riuscire mai a trovare il tono giusto con il quale raccontare questi fatti: “Spacciare anfetamine fu un grosso scivolone, per usare un eufemismo… Fu davvero, davvero imbarazzante.” Infatti.

Le accuse di Milligan sono legate al fatto che la citazione della biografia di Scott contestualmente alla sua querela coinciderebbe con “calunnia e diffamazione.” Al contrario, la citazione è inevitabile.

Phil Scott è il paziente numero zero. Ogni caso di presunto abuso sessuale, infatti, necessita di un accusatore originale, la cui storia presto si dimostra essere contagiosa. Un esemplare paziente numero zero è la donna schizofrenico-paranoide che provocò il fiasco del processo durato sette anni alla scuola materna McMartin. Persone più rispettabili di lei, quindi, possono facilmente dire falsità simili: tra queste alcune confuse, altre ricordando malamente, o portate fuori strada, o fomentate dai media, o, ancora, vessate da poliziotti, pubblici ministeri, o analisti un po’ troppo entusiasti; altre per opportunismo cercano un grande guadagno a poco rischio da un’impresa cominciata audacemente da qualcun altro.

L’accusa di Phil Scott venne sporta e resa pubblica nel 2002. Nel 2015, due uomini amici sin dall’infanzia affermarono che Pell li aveva aggrediti nella piscina Eureka Stockade presso Ballarat. Nell’estate tra il 1978 e il 1979, Pell si sarebbe trovato alla piscina ed avrebbe messo in atto il suo “gioco.” “Il gioco” comportava l’agguantare i piedi di uno dei ragazzi sottacqua per poi lanciarlo in aria. Si afferma che, durante il gioco, Pell avrebbe palpeggiato i ragazzi e li avrebbe forse persino penetrati con le sue dita. Milligan nota una somiglianza tra questa accusa ed una di quelle di Scott – quella che riguarda le onde, siccome entrambi hanno a che fare con l’acqua. Mentre altri potrebbero considerare questa somiglianza come l’evidenza che agli australiani piace nuotare e leggere giornali, Milligan ritiene che essa svolga un ruolo corroborante.

Ci è dato di capire che Pell avrebbe compiuto le sue aggressioni alla luce del sole, di fronte a bagnanti e appassionati d’abbronzatura, senza alcuna notabile deviazione dal regolare svolgimento del “gioco.” Mettiamo però più a fioco il quadro che Milligan ha lasciato piuttosto sfuocato.

Sia Monument che Dignan sostengono che Pell, dopo aver congiunto le mani sottacqua ed aver sollevato il ragazzo un mezzo metro sopra la sua testa, avrebbe “lasciato andare una mano” e usato la mano libera per “vagare” verso l’alto. Bilanciando il ragazzo in verticale con una mano sola e molestandolo con l’altra, Pell avrebbe quindi portato a termine una performance di resistenza e destrezza che avrebbe messo a dura prova un mago o un circense. Una tale composizione richiede che il ragazzo tenga le gambe unite, eppure il racconto della molestia che ne fa Monument preclude queste osservazioni: “La mano sui miei genitali toccava il mio pene, i miei testicoli e pure la zona anale.” E fino ad adesso abbiamo pensato che il palpeggio fosse avvenuto al di fuori dei vestiti del ragazzo, che sembra poi essere la prospettiva più semplice. Eppure: “Pell metteva le sue mani” – un momento, adesso sono diventate due? – “sotto i pantaloncini e le mutante di Monument, toccando i suoi genitali.”

Pell poi avrebbe dovuto essere in grado di estrarre la mano (o le mani). Milligan però non chiarisce mai come o quando questo avvenisse. Sia lei che i querelanti sembrano implicare che Pell tenesse una mano dentro i vestiti del ragazzo durante l’atto del lancio in aria:

“Don Pell mi lanciava in aria ed io mi tuffavo nell’acqua.” Monument sostiene che il prete avesse la mano aperta a modo di sospensorio appoggiata sui suoi genitali durante tutto questo. Mi ha poi detto di ricordarsi chiaramente come ad un certo punto le dita di Pell fossero all’entrata del suo ano, ma non riesce a ricordare tranquillamente se il prete l’abbia penetrato con queste.

Questo è impossibile. Il nostro predatore avrebbe dovuto ritirare la sua mano o le sue mani dalle gambe del ragazzo mentre il ragazzo si trovava ancora nell’acqua. Poi avrebbe dovuto piazzare di nuovo la mano o le mani per unirle o riunirle sotto i piedi del ragazzo. Solo a questo punto sarebbe stato in grado di lanciare il ragazzo in aria.

Monument descrive le aggressioni come “furtive e fugaci.” Al contrario, però, la prestazione descritta da lui e Dignan può solamente essere stata faticosa, intricata ed richiedere molto tempo per il suo svolgimento. I movimenti richiesti dall’aggressione e dall’estrazione delle mani non sono consonanti con “il gioco,” né possono essere facilmente aggiunti a questo.

Si aggiunga la penetrazione con le dita e l’asserzione diventa ancora più complessa – anche se ve li dovrete far da voi i calcoli. Non ho neppure intenzione di soffermarmi sugli impedimenti legati dai vestiti del ragazzo: chiusura con il cordoncino (del costume di Dignan e dei pantaloncini da calcio di Monument) più le mutante. E voglio aggiungere, senza ulteriormente approfondire, la naturale mobilità e reattività di un bambino che viene maltrattato.

Forse queste aggressioni hanno avuto luogo, ma il racconto che Milligan ne ha tratto è incoerente. Aggiungendo i particolari illogici ed elusivi diventa poi completamente surreale.

Nella sua incongruenza surreale ricorda il caso di Arnold Friedman avvenuto a Great Neck in New York. Negli ultimi anni 80 Friedman era solito tenere regolarmente lezioni di informatica nel seminterrato di casa sua, insegnando a bambini tra gli otto e undici anni a maneggiare il computer. Nel 1987 venne accusato da più di una dozzina di studenti di averli forzati a partecipare a giochi sessuali, incluse sessioni di cavallina sodomitica. Come anni dopo uno dei suoi accusatori ha detto: “Si, cavallina. Mi ricordo… Arnold… saltava, da una persona all’altra, ficcando il suo c**** in ognuno dei loro c***.” L’evidenza di queste assurdità, che venne contraddetta all’epoca da molti dei ragazzi presenti nella classe d’informatica, non riuscì a salvare Friedman dall’azione penale, (Commise poi il suicidio in prigione nel 1995), né impedisce ai sui accusatori, ormai adulti, di persistere nelle loro affermazioni. Solamente un sociopatico non gli crederebbe.

Nel seminterrato di Friedman, così come nella piscina di Pell, osserviamo distintamente l’ignoranza infantile circa quanto sia fattibile dal punto di vista anatomico. I genitali diventano facili da trovare e palpare, persino dentro i vestiti. Gli orifizi non sono solo facili da individuare, ma elasticamente permissivi. Questo genere di cose raggiunse forse il suo apice d’isteria con la condanna di Geral Amirault nel 1986, proprietario di un asilo a Miden in Massachusetts, accusato, tra le altre cose, di aver penetrato il posteriore dei suoi alunni con un coltello da macellaio. Non sorprende che i bambini non riescano a riconoscere la fattibilità di una tale impresa, ma gli adulti non hanno alcuna scusante.

Nel seminterrato di Friedman come nella piscina e nella tenda dei chierichetti di Penn, “il gioco” fornisce solo un pretesto; l’aggressione diventa una variazione del contatto fugace che giochi o sport comportano. Questo tipo di accuse è molto comune nei casi di supposto abuso sessuale, in parte perché risolve un problema comune, ovvero: se non si può dire che la vittima sia mai stata da sola con il predatore sessuale, allora dove e quando è avvenuta l’aggressione? La risposta magica: alla luce del sole, durante “il gioco.” Si sa che i pedofili sono esperti in giochi di prestigio (spingere un bambino sull’altalena è un altro pretesto comune). Ma in realtà un’aggressione sessuale si distingue quasi sempre da un innocente contatto ludico. Quest’ultimo è necessariamente fugace, la molestia, per definizione e pratica, no.

Di tutte le accuse presenti nel carnet di Milligan, la seguente e quella che trovo più credibile. Con le parole di un giornalista, si tratta della “storia di Pell che si veste con tutta calma e senza fretta” dopo aver fatto surf, “al cospetto dello sconvolgimento puritano di qualche tizio.” Ma consideriamo l’accusa con serietà.

Nell’estate tra il 1986 e il 1987 Les Tyack entrò nel camerino del Torquay Surf Life Saving Club. E lì, in un angolo, vide Pell nudo che si stava asciugando. A tre o quattro metri da Pell stavano tre bambini, tra gli otto e i dieci anni, “che si stavano cambiando, nudi anche loro.” Confusamente Tyack sostiene che a questo punto Pell stesse sia “di fronte” che “di schiena” ai bambini. Tyack entrò nella doccia, che stava “dietro ad una paratia” da un lato della stanza. Tyack sostiene di essersi fatto la doccia dietro quella paratia per “cinque o dieci minuti.” Sostiene di aver visto Pell dopo la doccia ancora in quell’angolo, ancora nudo e con l’asciugamano però ora “sulla sua spalla destra.” Sostiene che i tre bambini, ora vestiti, fossero dove li aveva lasciati prima e si stessero guardando a vicenda con Pell. Tyack “si insospettì” (parola che usa tre volte) che quello che aveva interrotto fosse un atto osceno. (È difficile capire quanto spazio rimanesse al sospetto se i bambini stavano di fatto guardando fissi Pell nudo di fronte a loro, che è quello che Tyack sembra dire.) Tyack sostiene di aver detto ai bambini di uscire e di aver poi affrontato Pell: “So cosa stai meditando, fuori dai c*******, fuori di qui, se ti vedo ancora in questo club chiamo la polizia.” A quanto ci viene detto, Pell si voltò verso il muro assicurandosi che “in nessuno modo Tyack potesse aver l’opportunità di vedere il suo lato anteriore.” E questo è l’unico modo con il quale avrebbe risposto all’intimidazione di Tyack.

Sappiamo dalla documentazione che Pell continuò ad essere un cliente abituale del surf club negli anni che seguirono il 1986-1987. E lo stesso fece Tyack, servendo come bagnino e scarrozzando in giro suo figlio. Tyack non accennò mai l’incidente ad altri membri del club e neppure (e qui immagino, visto che Milligan non ne fa menzione) a suo figlio. E neppure chiamò la polizia. Dice che la sola minaccia di chiamare la polizia sarebbe bastata. Gradualmente Tyack “iniziò a rendersi conto del quadro generale e del problema che coinvolgeva i preti.” Si accorse “che sempre più persone se ne uscivano con accuse sui preti, sulle attività di altri preti, e poi su Pell.” Nel 2012 decise di riportare la sua storia alle autorità civili. Sperava che “quelli che stavano confrontando tutte le prove potessero usare anche la sua storia, che avrebbe potuto aiutare nella costruzione di un dossier sulle attività di Pell. Ho pensato che forse potesse essere di supporto alle vittime della pedofilia.”

Mi limito a tre domande.

Tyack ha davvero passato dai cinque ai dieci minuti sotto la doccia dietro alla paratia nel camerino? Di solito non ci si delizia o non si segue un prolisso regime igienico in docce pubbliche. E noi dobbiamo credere che i bambini si siano trattenuti tutto quel tempo senza fare niente se non star fissi a guardare Pell. Il tempo è importante, siccome la durata – l’attardarsi – è necessaria per rendere maligna la nudità di un uomo in un camerino. Questo, e la sua “sospetta” preferenza che un altro uomo non vedesse il suo lato anteriore. (Ma la maggior parte degli uomini preferiscono che il loro lato anteriore, quando nudo, non sia direttamente guardato da altri uomini.) Allungando il tempo della doccia dai cinque ai dieci minuti, Tyack apre un buco che, come dice lui, può essere solo riempito con un atto osceno.

Per quale motivo Pell avrebbe dovuto mostrarsi nudo quando sapeva che c’era un altro adulto nella stanza proprio dietro una paratia? Tyack avrebbe potuto spuntare fuori in qualsiasi momento. Era, inoltre, a portata d’orecchio nel caso i bambini avessero gridato o cercato aiuto. E avendo sentito chiudersi la doccia, un uomo con qualcosa da nascondere si sarebbe sicuramente avvolto nell’asciugamano.

Per quale motivo Tyack ha aspettato un quarto di secolo, compreso il decennio successivo alla diffusione pubblica delle accuse di Phil Scott, per denunciare quanto sapeva?

Io e mia madre, una volta, ci siamo contraddette nelle nostre rispettive deposizioni per l’avvocato di una compagnia assicurativa su di un punto importante concernente un incidente a cui avevamo testimoniato: il taxi si trovava contro il cordolo o nella corsia di svolta corretta quando il camion dei pompieri ne ha graffiato il parafango? Entrambi abbiamo detto la verità per come ce la ricordavamo. L’incidente era recente e i miei ricordi vividi. Ahimè avere una memoria nitida non è come avere un nastro da riavvolgere. Quando mi è stato chiesto di fornire un dettaglio che non possedevo (ma era vero? Almeno io ho pensato così), ho composto quel dettaglio in maniera coerente a quello che pensavo fosse vero: “Oh, decisamente contro il cordolo.” E questo perché il tassista non era nel torto e perché aveva bisogno del nostro aiuto per timore di poter essere ritenuto responsabile e quindi licenziato e deportato (era un immigrato recentemente arrivato). Era chiaro che i pompieri e la polizia avevano intenzione di incastrarlo.

Nel 2012 Tyack disse la verità per come se la ricordava. L’incidente era avvenuto venticinque anni prima ma la sua memoria era vivida. Nessuno può imputarlo d’aver inventato di sana pianta la sua accusa. Tyack ha evitato di dire di aver visto il reato; ha visto qualcosa di “veramente sospetto” ed ha ipotizzato il reato per inferenza. Quanto afferma è che la sua doccia sia durata dai cinque ai dieci minuti e sottolinea la riluttanza di Pell a fargli vedere il suo lato anteriore nudo. In base a questi dettagli, la memoria di Tyack invita ad una interpretazione che corrisponde a quanto egli crede sia vero, ovvero che la Chiesa Cattolica, e Pell in particolare, stiano compiendo dei torti conto i bambini. Questo lo autorizza ad agire secondo il suo impulso di bravo cittadino: butta questo nel dossier, potrebbe essere d’aiuto.

“Più sentivo gli incidenti che coinvolgevano le vittime della Chiesa Cattolica negli anni e più questo episodio mi ritornava in mente.” Infatti.

Milligan conclude con una “nuova imputazione esplosiva” contro Pell, fornita da un querelante che lei chiama Il Bambino. Il Bambino ha più o meno trent’anni quando incontra Milligan. Il suo pseudonimo è una denominazione impropria, anche se non del tutto fine a se stessa. Noi crediamo ai bambini, anche dopo che si sono laureati al college.

Il Bambino dichiara che, nel 1997, l’arcivescovo Pell aggredì lui ed il suo amico – il cui pseudonimo è Il Corista – allora cantori tredicenni nel coro della cattedrale di San Patrick a Melburne. Una domenica dopo la messa, Il Bambino ed Il Corista apparentemente si diressero verso una delle stanza posteriori dove si ubriacarono con il vino per la comunione. Pell, avendoli apparentemente scoperti, chiuse a chiave la porta e forzò entrambi i ragazzi a fare sesso orale. (Questo è la deposizione che Il Bambino ha consegnato alla polizia. Milligan, senza spiegazione, omette il dettaglio del vino per la comunione).

L’idea di chierichetti disubbidienti che gozzovigliano con il vino della comunione e di un arcivescovo a che si aggira furtivamente nella cattedrale in cerca di qualcuno da divorare sembra essere un pastone tra Maria Monk e sognatori ad occhi aperti da scuola parrocchiale. Ma lasciamo che Il Bambino si tenga il suo cliché ed affrontiamo la sua logica. Secondo Il Bambino San Patrick teneva il vino per la comunione non al sicuro, in deposito in una delle stanze posteriori, ed in quantità sufficiente ad intossicare due adolescenti. E l’arcivescovo, desideroso di piaceri malefici, avrebbe preteso di soddisfarli con due vittime simultaneamente, offrendo generosamente ad entrambi la possibilità di fornire una testimonianza corroborante. E fece tutto questo avendo il favore del papa ed indossando il cappello porporato. Può darsi che, riconoscendo la contraddittorietà di questi elementi, Milligan definisca questa aggressione come “l’ultimo grande scivolone” di Pell. Io aggiungerei, come nel caso di Phil Scott che spacciava droga, che è fu davvero imbarazzante.

Dopo il la pubblicazione del libro di Milligan, un giornale australiano è riuscito ad ottenere un rapporto della polizia che conteneva un intervista ad un prete il quale faceva parte dello staff di Pell nel periodo in questione. Il prete afferma che il vino per la comunione nella cattedrale era tenuto chiuso in una cassaforte insieme ai calici. Afferma che fosse “fisicamente impossibile” per Pell rimanere da solo con i chierichetti all’interno della cattedrale “prima, durante o dopo la celebrazione della messa della domenica o in qualsiasi altra occasione.” Di domenica Pell arrivava in cattedrale quindici minuti prima della messa delle undici; si incontrava con questo prete all’ingresso e poi con lui si accompagnava per tutto il periodo della sua presenza lì; si vestiva per la messa; celebrava la messa, la quale terminava poco dopo mezzogiorno; stava alla porta della cattedrale per stringere le mani dei fedeli che uscivano da messa; si toglieva i paramenti e se ne andava a pranzare al ristorante o a far visita ad una delle parrocchie, sempre accompagnato dal prete in questione.

Il Bambino è una persona a modo e laureata. Milligan però nega la necessità di sapere che Il Bambino fosse incensurato come base per il credito che dovremmo attribuirgli; lei, è offesa semplicemente all’idea della necessità di dimostrare la credibilità di colui che accusa. Ciononostante, Milligan continua a sottolineare come Il Bambino sia incensurato, come a dire “perché dovrebbe mentire?”

Il Corista però non è incensurato. Ha avuto problemi di droga ed ha sofferto di depressione per tutta l’adolescenza quasi fino ai trent’anni. In diverse occasioni sua madre gli ha chiesto se mai qualcuno avesse sessualmente abusato di lui. Potete chiamarla un’ispirata intuizione materna, come fa Milligan, o potete chiamarla osservanza di una bufala radicata nella pop-psicologia secondo la quale tutti i disturbi psicologici rappresentano il segno d’allarme della presenza di un abuso sessuale. Ogni volta che gli veniva chiesto Il Corista rispondeva di no. Milligan si domanda per quale motivo Il Corista menta. In questo caso però non è una domanda retorica e si può notare come, in filigrana, ci sia l’influenza del confutato, ma comunque influente, articolo del 1979 di Roland Summit, “La sindrome di riconciliazione da abuso sessuale nel bambino.” La tesi di Summit sostiene che “i bambini non mentono mai” sull’abuso sessuale – eccetto quando lo nascondono, come abitualmente fanno per riconciliarsi con la persona da cui sono stati abusati. Quando si tratta di bambini, la negazione coincide con la conferma; “no” significa “si.” Quindi Il Corista diventa l’unica delle ipotetiche vittime di Pell capace di ingannare. Ma la madre del Corista ha continuato a sospettare malgrado le sue menzogne. Il Bambino le ha fornito una giustificazione, e cosa dice Il Corista a proposito? Niente. Muore.

Il Corista è morto di overdose d’eroina nel 2014 e sua madre sostiene che Pell e i suoi “debbano essere ritenuti responsabili della sua morte.” Buttiamoci dentro anche l’omicidio colposo, perché no?!

Durante o dopo il processo, tre anni o tre giorni dopo questo articolo, nuovi fatti possono emergere a dimostrazione mia e del mondo che il Cardinale australiano George Pell è tanto colpevole quanto il peccato. In quel giorno mi rammaricherò di questo articolo, ma non mi pentirò d’averlo scritto.

Per quindici anni sono state lanciate imputazioni contro Pell. Centinaia di querelanti insistono che deve aver commesso questo o che deve aver saputo quello. Forse vi ho persuasi del fatto che l’empatia imperativa nei confronti delle vittime di abuso sessuale contro i minori non necessita che crediate ad ognuna delle imputazioni lanciate nei confronti del cardinale. Sicuramente, almeno, non vi sarete fatti ingannare dal trucchetto di Milligan sintetizzato nella formula “perché dovrebbe mentire?” – che è poi una versione del “i bambini non mentono mai” estesa a quei bambini che hanno superato la maggior età.

Si può dire quindi che non soffriate d’isterismo. Sospetto comunque, però, che non siate inclini a simpatizzare per un uomo al quale sono legati così tanti sospetti e che supponiate che la prova si trovi nella proliferazione: “Perché dovrebbero mentire tutti? Ci deve essere una qualche verità da qualche parte. Qualcuna di queste cose dev’essere vera o almeno mezzo-vera. Da qualche parte lì dentro, uno, due o almeno un po’ di questi reclami saranno veri.”

L’impressionante proliferazione di querelanti e imputazioni è però comune ai casi pretestuosi che riguardano l’abuso sessuale. Arnold Friedman aveva contro più di una dozzina di accusatori. Il caso della scuola materna McMartin ha visto emergere 321 accuse da parte di quarantuno bambini. Al giorno d’oggi sappiamo che ognuna di quelle accuse era falsa e che ognuno di quei bambini ha mentito. Eppure oggi, con bambini che hanno ampiamente superato i trenta, molti ancora insistono che le loro accuse siano vere. Nel 1994, a Wenatchee nello Stato di Washington, quarantatré adulti sono stati arrestati con 29.726 capi d’accusa per abuso sessuale sotto le affermazioni di sessanta bambini di un’età tra i nove ed tredici anni. Nel 1995 tutti i capi d’imputazione sono caduti.

Se non la proliferazione, allora forse la passione rappresenta una prova sufficiente. I critici di Pell hanno lanciato un attacco isterico contro di lui; sicuramente non si sono arrovellati per niente. Certamente qualche malvagità è stata elaborata da parte degli ecclesiastici cattolici, in Australia come ovunque. Ma per quale motivo Pell dovrebbe rappresentare “il” mostro che incarna tutti i mali della città dei mali? Perché lui è l’unico cardinale del paese; per decenni Pell è stato il cattolico più visibile, udibile e cattolico del paese. Pell è il mostro non per quello che possiamo stabilire su quanto abbia fatto o abbia saputo, ma per la levatura della sua carica, perché la sua ideologia entra in conflitto con i grandi ed i buoni e perché non è costantemente inumidito da un sentimento di empatia. René Girard aveva ragione: c’è sempre un capro espiatorio; si tratta solo di capire chi sia.

Campagne impegnate a trovare un capo espiatorio non hanno bisogno di prove o di rispondere ad alcuna logica, e molto spesso non sono neanche particolarmente convincenti per chi vi partecipa. Ad esempio, io non credo che i genitori dei bambini della scuola materna McMartin credessero davvero all’esistenza di catacombe sataniche sotto la scuola. Sicuramente non dopo che gli scavi non hanno prodotto alcun risultato. (Questo è accaduto davvero). Il giorno di questa scoperta i genitori del bambini della McMartin avrebbero dovuto confessare: i loro bambini avevano mentito sull’esistenza delle catacombe. Invece hanno assunto un secondo impresario archeologico per scavare di nuovo nel posto incriminato. In questo grottesco episodio la ricerca “della verità” dei genitori della McMartin si è rivelata essere una menzogna – una menzogna però con la quale si sono impegnati così completamente che a stento hanno potuto ritrattare. Non c’è dubbio che stessero mentendo a se stessi.

Ad un certo punto delle sue indagini, Louise Milligan avrebbe dovuto chiedersi se stesse scavando catacombe nella direzione opposta rispetto a quella che si era prefissata.

Milligan conclude il suo libro chiudendo il cerchio in onore al liberalismo dottrinale. Per lei Papa Francesco è “un tipo di leader assolutamente diverso da Papa Benedetto XVI e Papa Giovanni Paolo II” in quanto “lui mette in guardia dai pericoli della rigidità teologica” e sembra aperto a liberalizzare gli insegnamenti morali della Chiesa circa la sessualità. Con il suo pontificato i conservatori dottrinali hanno perso ogni favore: il Cardinale Raymond Burke, il Cardinale Marc Ouellet, Pell stesso – o quella che Milligan definisce “la fazione di Pell.” Milligan sembra aspettarsi che, nonostante la drastica ristrutturazione del personale e le esortazioni apostoliche, Francesco svuoterà il Cattolicesimo dai suoi impegni dottrinali.

Vero, Francesco ha fatto una cosa strana mettendo Pell alla testa della Segreteria per l’Economia appena costituitasi con la funzione di riformare le finanze del Vaticano. Ma non abbiate paura, la riforma di Pell ha fallito. Francesco ha cancellato l’udienza che Pell aveva programmato ed ha gradualmente ritirato i privilegi che spettavano a Pell. “Le ali del Cardinale sono state seriamente accorciate.” Milligan predilige la continua corruzione finanziaria della Curia perché, se infrazioni e truffe dovessero cessare, Pell avrebbe vinto.

Nel 2015, il buon uomo di Milligan in Vaticano, Francesco, ha nominato Juan Barros come vescovo di Osorno in Cile. Barros è ampiamente accusato da parte dei cattolici cileni per aver insabbiato i reati del celebre pedofilo Don Fernando Karadima. Avendo sentito delle obiezioni dei cattolici cileni nei confronti della nomina, Francesco è stato filmato mentre li definiva “stupidi.” Durante la messa per l’ordinazione di Barros i cattolici cileni si sono precipitati nella cattedrale di Osorno. Barros è stato consacrato vescovo dovendo indossare un giubbotto anti-proiettili, e dovendo essere portato rapidamente nel santuario da alcune guardie del corpo al memento cruciale e di nuovo scortato velocemente via dalla cattedrale. Cavillate ora sul “Melbourne Response” e sul fatto che abbia sufficientemente mostrato o meno l’empatia richiesta. Io risponderò con l’Osorno Response.

In molti e vari modi Francesco è peggio per quanto riguarda l’abuso sessuale sui bambini di quanto fosse Benedetto, il suo “rigido” predecessore. La task force vaticana dedicata all’abuso di minori sta cadendo a pezzi. Nel 2014 Francesco ripristinò personalmente lo stato sacerdotale di Don Inzoli, un amico di amici di Francesco, il quale era stato sospeso a divinis nel 2012, dopo la condanna per molestie su minori ricevuta dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. Due anni dopo l’intervento di Francesco Don Inzoli venne arrestato dalle autorità civili italiane e condannato al carcere. (Ciononostante ha mantenuto il suo stato sacerdotale fino alla settimana scorsa – di fatto proprio fino al giorno delle accuse a carico di Pell). Nel 2010 il Cardinale del Belgio Godfried Danneels, un eroe cattolico-liberale, si trovò in un colloquio, segretamente registrato, con una delle vittime del suo amico pedofilo, il vescovo Roger Vangheluwe. Nella registrazione si sente Danneels ordinare alla vittima di rimanere in silenzio e di chiedere perdono per l’abuso: “Riconosci anche tu la tua colpa personale.” Tre anni dopo, il giustamente eletto Papa Francesco salutò il mondo dalla loggia in San Pietro con Danneels al suo seguito. Da quel momento Francesco ha continuato a mostrare il suo favore a Danneels con incarichi appetibili.

Francesco è il primo papa giusto che compare nell’esistenza di Milligan: ha tagliato le ali di Pell. Vi lascerò decidere il perché Milligan ha scritto questo libro. Le opzioni sono due: o lei odia i pedofili oppure odia la Chiesa.

Julia Yost è redattore associato di First Things.

Tradotto dall'inglese da Paolo Pellecchia.


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